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La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 209 del 12 ottobre 2022, si è pronunciata dichiarando l’illegittimità costituzionale dell’art. 13, comma 2, quarto e quinto periodo della L. 210/2011, per violazione degli artt. 3, 31 e 53 Cost., nella parte in cui la disposizione lega il diritto di godere dell’esenzione IMU, prevista per l’abitazione principale, al doppio requisito della residenza e della dimora abituale dell’intero nucleo familiare.
La pronuncia della Corte Costituzionale assume centrale rilevanza nel quadro normativo e giurisprudenziale italiano laddove, la dichiarazione di incostituzionalità, ha avuto quale effetto “consequenziale” quello di dichiarare incostituzionale anche dell’art. 1, comma 741, lettera b), primo periodo e secondo periodo, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 (c.d. Legge Bilancio 2022) trattandosi di disposizione il cui contenuto è evidentemente incompatibile con ratio della decisione della Corte Costituzionale.
Ma cosa accomuna queste disposizioni tanto da dover tutte essere dichiarate incostituzionali all’esito del sindacato svolto dalla Consulta?
Tutte le norme oggetto di sindacato di legittimità sono – o meglio erano – destinate a disciplinare le modalità di applicazione dell’imposta municipale unica (IMU).
Più in particolare, l’illegittimità costituzionale è stata individuata nella definizione che, nelle predette disposizioni, fornivano di “abitazione principale”, in relazione alla quale venivano delineate le condizioni affinché, su un immobile il possessore/proprietario potesse godere del diritto all’esenzione dal versamento dell’IMU.
Le contestate disposizioni, ed in primis l’art. 13 comma 2, quarto periodo, della L. 201/2011, definivano l’abitazione principale come “l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore e i componenti del suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”.
Secondo tale formulazione, affinché si potesse avere diritto all’esenzione IMU per una determinata unità immobiliare, era necessario che sia il possessore sia il suo intero nucleo familiare dimorassero abitualmente e risiedessero anagraficamente nell’immobile per il quale si richiede l’esenzione.
Il sindacato della Corte Costituzionale si è concentrato proprio sulla previsione secondo la quale, ai fini di poter godere dell’esenzione IMU per l’abitazione principale, si rendeva necessario che, nell’immobile per il quale si richiede l’esenzione, risiedessero e dimorassero abitualmente non solo il possessore ma anche il suo intero nucleo familiare.
Secondo il ragionamento seguito dalla Consulta la disposizione, nell’anzidetta formulazione, determinerebbe l’effetto di penalizzare coloro che decidono di unirsi in matrimonio o di costituire unione civile precludendo automaticamente agli stessi la possibilità di mantenere la doppia esenzione IMU, anche laddove effettive esigenze, ad esempio lavorative, impongano ai coniugi o agli uniti civilmente di porre le proprie residenze anagrafiche e dimore abituali in immobili differenti.
Al contrario, la doppia esenzione non sarebbe stata certamente preclusa per quelle coppie che, attuando una semplice convivenza di fatto, avessero mantenuto ognuno la residenza anagrafica in immobili differenti, continuando a godere dell’esenzione IMU per abitazione principale per entrambi gli immobili.
Tale disuguaglianza emergeva chiaramente dall’interpretazione che, delle anzidette disposizioni, veniva fornita dalla giurisprudenza di legittimità maggioritaria, la quale ha prodotto quale effetto “estremo” quello di precludere completamente per i coniugi che avessero posto la propria residenza in comuni diversi il diritto all’esenzione dall’IMU.
Difatti, in queste ipotesi si era pervenuto a negare per entrambi gli immobili di proprietà dei coniugi o degli uniti civilmente il diritto all’esenzione IMU sostenendo che in nessuno degli immobili, qualificati come abitazione principale, si sarebbe potuto determinare il doppio requisito della residenza e dimora abituale dell’intero nucleo familiare, così come previsto dalla norma, non potendosi, conseguentemente, considerare nessuno degli immobili “abitazione principale” del possessore.
Il quadro normativo e giurisprudenziale come sopra ricostruito e descritto è stato pertanto giudicato dalla Consulta come incostituzionale per violazione degli artt. 3, 31 e 53 della Costituzione avendo ritenuto che l’art. 13, comma 2, quarto periodo, D.L. 201/2011 prevedeva misure fiscali che finivano, per la loro formulazione, per penalizzare coloro che decidevano di unirsi in matrimonio o di costituire unione civile.
La violazione più rilevante riscontrata dalla Consulta è stata proprio quella rispetto all’art. 3 della Costituzione. Difatti, la scelta operata dal Legislatore di riconoscere nel caso di matrimonio o unione civile l’esenzione per la sola abitazione presso la quale coesistevano contemporaneamente i requisiti della residenza anagrafica e della dimora abituale dell’intero nucleo familiare è stata ritenuta discriminatoria rispetto alla situazione che si determina per quelle coppie che, attuando una convivenza di fatto, continuano a godere dell’esenzione non solo per l’immobile in cui si attua materialmente la convivenza, ma anche per l’ulteriore immobile in cui il singolo possessore risulta risiedere anagraficamente e dimorare abitualmente.
I Giudici costituzionali hanno ritenuto una tale differenziazione, basata sulla mera formalizzazione della relazione sentimentale, ingiustificata ed irragionevole, tenuto conto che a fondamento della scelta operata dal Legislatore in tema di riconoscimento dell’esenzione IMU, non può invocarsi né l’obbligo di coabitazione previsto ex art. 143 c.c. né il concetto di “residenza familiare” di cui all’art. 144 c.c.
Difatti, non può escludersi che i coniugi debbano stabilire la propria residenza in immobili diversi per determinazione consensuale o giusta causa, pur mantenendo e persistendo l’affectio coniugalis tra di loro.
Non può, al contempo, aprioristicamente ritenersi che la scelta dei coniugi di porre la residenza in differenti comuni sia dettata da una volontà elusiva e non da una effettiva necessità concretizzatisi in capo ad uno dei coniugi.
La disposizione di cui all’art. 13, comma 2, quarto comma, L. 210/2011 è stata ritenuta costituzionalmente illegittima altresì con riferimento all’art. 31 Cost. poiché la disposizione si sostanziava in un trattamento fiscale di sfavore nei confronti della famiglia, nonché rispetto all’art. 53 Cost. sul presupposto che l’IMU, trattandosi di un’imposta reale, è legata alla relazione che il possessore ha con il bene immobile, nonostante la normativa – nonché la giurisprudenza in materia – siano arrivate a legare la possibilità di godere dell’esenzione ad elementi che nulla hanno a che fare con la natura dell’imposta, la destinazione ovvero lo stato dell’immobile, ma che si riferiscono esclusivamente alle relazioni del soggetto con il proprio nucleo familiare.
Per tali motivazioni, è stata dichiarata l’illegittimità costituzionale in via consequenziale anche del quinto periodo del comma 2 dell’art. 13 D.L. 201/2011 il quale stabiliva che “nel caso in cui i componenti del nucleo familiare abbiano stabilito la dimora abituale e la residenza anagrafica in immobili diversi situati nel territorio comunale, le agevolazioni per l’abitazione principale e per le relative pertinenze in relazione al nucleo familiare si applicano per un solo immobile”.
L’incostituzionalità deriva dal fatto che, seppur la necessità di porre la residenza in immobili diversi all’interno dello stesso comune costituisca ipotesi residuale, tale circostanza non può escludersi a priori, soprattutto con riferimento ai comuni di grande dimensione.
La Consulta ha altresì dichiarato l’illegittimità costituzionale in via consequenziale della disposizione di cui all’art. 1, comma 741, lettera b), primo periodo e secondo periodo, della legge 27 dicembre 2019, n. 160 con cui il Legislatore aveva previsto che, laddove i coniugi avessero posto la propria residenza in immobili diversi siti in diversi comuni, l’esenzione IMU sarebbe spettata ad un solo di tali immobili, individuati direttamente dai coniugi. Negare ex lege la possibilità della doppia esenzione per gli immobili laddove i coniugi siano stati posti nella necessità di stabilire ognuno la propria residenza in comune diverso, in questo modo adibendo due immobili ad abitazione principale, costituisce atteggiamento discriminatorio per tutte le ragioni sin qui elencate.
Secondo quando statuito dalla Consulta, la norma dovrebbe disporre che “per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore dimora abitualmente e risiede anagraficamente”, eliminando quindi qualsiasi riferimento alla residenza anagrafica e dimora abituale del nucleo familiare.
Laddove i coniugi abbiano stabilito la propria residenza in comuni diversi oppure anche all’interno dello stesso comune avranno diritto alla doppia esenzione dal versamento dell’IMU laddove i suddetti immobili costituiscano residenza anagrafica e dimora abituale di ciascun coniuge, in qualità di possessore dell’immobile.
Pertanto, al fine di determinare se un immobile goda dei requisiti di abitazione principale dovrà farsi riferimento al cumulo della residenza anagrafica e della dimora abituale dei possessori.
Deve però notarsi come, nel ragionamento seguito dalla Consulta, elemento essenziale è forse da individuarsi nel requisito della dimora abituale, da accertare caso per caso, in quanto appare evidente che, se all’esito dei dovuti controlli, presso un immobile costituente residenza anagrafica di uno dei coniugi – o degli uniti civilmente – non si determina anche il requisito della dimora abituale dello stesso possessore a tale immobile non potrà riconoscersi la qualità di abitazione principale con conseguente disconoscimento del diritto all’esenzione IMU.