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Dopo l’analisi del 27 ottobre 2020 dedicata ai due “istituti giuridici” dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione e della risoluzione del contratto per forza maggiore a seguito della crisi sociale, sanitaria ed economica provocata dal Covid-19, analizziamo l’ordinanza dell’11 agosto 2020, emessa dalla sezione feriale del Tribunale di Brescia (e i commenti già esistenti in merito) che, seppur in via sommaria poiché emessa in fase cautelare di giudizio, ha preso posizione in merito all’esecuzione dei contratti pendenti durante il periodo del cosiddetto “lockdown”.
Nel caso esaminato dal Tribunale bresciano era in essere un contratto di somministrazione di acqua termale e la somministrante, avvalendosi di apposita clausola risolutiva espressa, lo dichiarava risolto, poiché i somministrati non avevano adempiuto al saldo di alcune fatture. Reagivano i somministrati, deducendo la contrarietà a buona fede della condotta della somministrante e l’illegittimità della risoluzione contrattuale, agendo in giudizio ai sensi dell’art. 700 c.p.c., affinché il Tribunale ordinasse alla somministrante di riattivare immediatamente la somministrazione di acqua termale medio tempore interrotta.
In concreto, i ricorrenti dichiaravano l’esclusione dell’imputabilità del loro inadempimento circa il mancato pagamento delle forniture, poiché la chiusura forzata delle proprie strutture alberghiere derivante da provvedimenti governativi, aveva determinato:
a) una grave crisi di liquidità;
b) l’impossibilità di utilizzo della controprestazione (la fornitura di acqua termale).
Tale situazione di fatto, secondo i ricorrenti, aveva determinato un’ipotesi di impossibilità sopravvenuta della propria prestazione contrattuale (ossia, quella di pagare le fatture di fornitura) con conseguente esonero da responsabilità.
Il Tribunale, tuttavia, ha respinto l’istanza cautelare osservando che l’impossibilità oggettiva della prestazione ex art. 1256 cod. civ. può verificarsi per obbligazioni di facere o di dare cose infungibili, ma non per prestazioni pecuniarie. Inoltre, il Tribunale specificava che l’inutilizzazione della prestazione quale modo di liberazione dalla controprestazione di pagamento da parte del debitore, non può essere invocata nel caso di specie perché l’obbligazione di pagamento rimasta inadempiuta, sebbene scadente in periodo di lockdown, si riferiva ad acqua termale fornita anteriormente e, dunque, regolarmente, utilizzata dai ricorrenti.
L’ulteriore notazione di rilevo è quella per cui il Tribunale fa notare come, ai sensi degli artt. 1256 cod. civ. e 91 del c.d. “Decreto Cura Italia” (D.L. 17 marzo 2020, n. 18 convertito in L. 24 aprile 2020, n. 27), i ricorrenti, al fine di ottenere l’accoglimento delle richieste formulate, avrebbero dovuto comunque offrire la duplice prova:
a) che l’inadempimento fosse dipeso dalla crisi di liquidità dichiarata;
b) che, inoltre, tale crisi di liquidità, a sua volta, fosse dipesa dalla chiusura forzata dell’attività e non da altre cause.
Pertanto, l’ordinanza in esame offre un’ulteriore spunto per ragionare sulla disciplina della impossibilità sopravvenuta ad adempiere e dei rimedi generali offerti dal Legislatore alla luce della pandemia dovuta al “Covid-19”).
L’impossibilità sopravvenuta ad adempiere
A seguito dell’emergenza epidemiologica, il Legislatore si è limitato a disciplinare gli effetti che l’emergenza stessa ha generato solo per alcune tipologie contrattuali come il trasporto aereo, ferroviario, marittimo nelle acque interne e terrestre (art. 28 del D.L. 2 marzo 2020, n. 9); di soggiorno e i contratti per l’acquisto di biglietti per spettacoli, musei e altri luoghi di cultura (art. 88 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18) dichiarati risolti di diritto con conseguente obbligo di rimborso ai clienti di quanto già eventualmente pagato.
Occorre, per il resto, rifarsi alla disciplina generale del Codice Civile richiamata, non a caso, dall’art. 91 del D.L. 17 marzo 2020, n. 18 che ha introdotto il comma 6-bis all’art. 3 del D.L. 23 febbraio 2020, n. 6 secondo cui “il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardi o omessi adempimenti”.
Rimandando all’analisi del 27 novembre 2020 per quanto riguarda le regole dettate dall’art. 1218, cod. civ. che prevede, come noto, che “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile” e dell’art. 1467 cod. civ., che in tema di contratti con prestazioni corrispettive, ne indica alcune caratteristiche affermando che, nei contratti a esecuzione continuata o periodica o a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa a causa di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’art. 1458 c.c.., occorre qui precisare che se l’impossibilità ad adempiere fosse solo temporanea, l’adempimento delle obbligazioni nascenti da contratto si intende “sospeso”.
In particolare, il debitore non è tenuto all’adempimento finché perduri la causa impeditiva dell’esecuzione della prestazione, e potrà adempiervi in seguito, ossia cessata la causa predetta. Tale sospensione tuttavia non è infinita, poiché:
(a) il creditore, fruitore della prestazione altrui, potrebbe ad un certo punto non avere più interesse a ricevere la prestazione stessa;
(b) in alternativa, il debitore, che deve eseguire la prestazione, in relazione al contratto o alla natura della stessa, potrebbe non essere più ritenuto obbligato a darvi seguito.
Tali principi, applicabili in via generale alle obbligazioni contrattuali, vanno certamente calati alle varie tipologie di obbligazione. Infatti, come correttamente osservato anche dal Tribunale di Brescia, l’impossibilità può riguardare certamente le obbligazioni di facere (sia di mezzi che di risultato) e di dare un bene infungibile, ma non le obbligazioni di dare un bene fungibile (come il danaro). In particolare, le prestazioni pecuniarie non divengono mai oggettivamente impossibili; per restare all’ordinanza in commento, il pagamento di una somma di denaro può essere sempre eseguito perché è possibile, almeno in via teorica, procurarsi la somma necessaria per farvi fronte (anche a prestito, se occorre).
Non va tralasciato, allo stesso, modo il correttivo della regola ora dedotta, in verità utilizzato dalla dottrina, secondo cui rispetto al concetto di “inesigibilità” della prestazione vi possono essere casi, in cui, alla luce degli obblighi di correttezza e buona fede in executivis (artt. 1175 e 1375 cod. civ.), non è lecito chiedere la prestazione alla controparte, anche se avente ad oggetto la dazione di una somma di denaro. Non è però questo il caso esaminato dal Tribunale di Brescia, dal momento che la prestazione cui la obbligazione di pagamento si riferiva consisteva nella somministrazione di acqua termale in periodo anteriore al lockdown e (presumibilmente) utilizzata dai ricorrenti.
Effetti dell’impossibilità sopravvenuta ad adempiere nel peculiare caso del contratto di somministrazione.
Passando ad esaminare gli effetti della impossibilità sopravvenuta ad adempiere nell’ambito del contratto di somministrazione, si evidenzia quanto segue.
In primo luogo, il somministrante non potrà essere ritenuto inadempiente se la propria attività è stata sospesa ai sensi del DPCM 11 marzo 2020 e, in ragione di tale sospensione, egli non sia stato in grado di rispettare i termini pattuiti con il somministrato. Alla stessa conclusione si potrebbe pervenire anche qualora il somministrante abbia volontariamente deciso di sospendere la propria attività perché questa, in base ad un’obiettiva valutazione della propria organizzazione aziendale, non potesse essere proseguita con la garanzia del rigoroso rispetto delle misure previste per la salvaguardia dell’integrità della salute dei lavoratori (ad esempio, perché il luogo in cui è esercitata l’attività di somministrazione non consentiva di preservare la distanza interpersonale di almeno un metro fra i dipendenti).
Si potrebbe, inoltre, sostenere che il somministrante vada esente da responsabilità quand’anche l’attività esercitata non rientri fra quelle sospese e, ciò nonostante, costui abbia volontariamente provveduto a sospenderla. Si potrebbe infatti versare in ipotesi di stato di necessità, nel senso che il somministrante ha sospeso la propria attività per evitare di mettere in pericolo sé stesso o altri (i propri dipendenti) e, comunque, a tutela di beni di valore supremo e costituzionalmente garantiti come il diritto alla salute.
In secondo luogo, il somministrato è sempre tenuto ad adempiere al pagamento del prezzo, trattandosi di obbligazione avente ad oggetto la consegna di un bene fungibile per eccellenza (il denaro) la cui reperibilità non è stata impedita dal Covid-19 e dalle misure assunte in contrasto alla diffusione del Covid-19 stesso (anzi, i successivi interventi legislativi quali il c.d. “Decreto Liquidità” e il “Decreto Rilancio” sono volti ad immettere liquidità nelle imprese, seppur sotto forma di prestiti). Ovviamente, qualora il somministrante non fosse in grado di adempiere, neppure può pretendere che il somministrato adempia al pagamento del prezzo: il contratto resterà temporaneamente “sospeso”.
Il somministrato potrebbe eccepire l’impossibilità sopravvenuta ad utilizzare la fornitura, come nella fattispecie portata all’attenzione del Tribunale di Brescia se l’obbligazione di pagamento avesse riguardato la somministrazione di acqua termale in periodo di lockdown, in cui le strutture alberghiere erano chiuse per effetto del DPCM 11 marzo 2020. E se l’impossibilità sopravvenuta temporanea mutasse in definitiva (come potrebbe essere, per restare all’esempio citato, qualora la somministrazione avesse ad oggetto beni deteriorabili), il contratto si deve ritenere risolto di diritto ex art. 1463 cod. civ. e le parti contraenti sono liberate dalle rispettive obbligazioni con effetto ex nunc.
Il somministrato potrà inoltre legittimamente rifiutarsi di compiere le attività atte a consentire al somministrante di adempiere: il Covid-19 (e quanto ne consegue) potrebbe in effetti essere qualificato come “motivo legittimo” che, ai sensi dell’art. 1206 cod. civ., giustifica il rifiuto, da parte del somministrato, di ricevere la fornitura da parte del somministrante.
Conclusioni
In definitiva, la pronuncia del Tribunale di Brescia appare condivisibile perché coerente con i principi di diritto sopra enucleati in tema di impossibilità sopravvenuta ad adempiere. In sintesi, tale rimedio appare praticabile da parte del somministrato – e da qualsiasi debitore di una somma di denaro – solo qualora quest’ultimo sia effettivamente impossibilitato ad utilizzare la controprestazione cui la prestazione pecuniaria si riferisce. Diversamente, non vi sono rimedi liberatori utilmente esperibili salvo quello, giustamente appena accennato nel provvedimento in esame, di offrire la prova di una temporanea carenza di liquidità (e impossibilità a procurarsi denaro) che sia dipesa in via immediata e diretta dal lockdown e che dunque possa in astratto giustificare l’inadempimento all’obbligazione di pagamento ed esonerare da responsabilità il debitore.